sergio fedele

Duo KLANG

 

 

 

 

 

Il suono, l’improvvisazione, il duo acustico

 

 

 

 

Il suono è sferico, e come tutte le cose sferiche ha

un centro che è il cuore del suono… Compito del

musicista è raggiungere il cuore del suono.

Giacinto Scelsi

 

 

Essendo tutte le cose derivate dalle vibrazioni e

formate da esse, hanno il suono al loro interno,

come il fuoco è nella pietra focaia ed ogni atomo

dell’universo confessa con il suo tono: ‘La mia

sola origine è il suono’. Se qualche corpo solido

viene colpito, risponderà: ‘Sono suono’.

Hazrat Inayat Khan

 

 

 

 

 

 

       IL SUONO

   Klang, ovvero “suono come entità complessa risultante di più formanti o Töne1.

   Al centro dell’interesse del duo Klang (fiati e percussioni) è il suono acustico.

   Vincolato o meno da centri di attrazione o sistemi, il singolo suono o rumore (ma dove il confine tra i due?), è considerato come un’entità complessa e polivalente, il singolo suono non è parte funzionale al tutto, ma tutto esso stesso, il suo spettro è una micropolifonia da rivelare.

   Padre spirituale di questa ricerca: Giacinto Scelsi, ma molto prima, la musica della Cina e del Giappone antichi. Dice il compositore Giulio Castagnoli a proposito di Scelsi: “La sua scelta portata avanti in modo radicale, fu quella di scomporre il suono nel suo spettro, e non invece quello di comporre (cum-ponere) suoni in relazione tra di loro”2. Curt Sachs nel suo La musica nel mondo antico, stupisce (da buon occidentale) nel rilevare: “Per quanto concerne la Cina antica, sembra che l’emozione derivi molto più da singoli suoni che non da passaggi melodici [...]. La stessa corda se tesa dall’indice o dal medio della mano destra, ha un timbro diverso. La tecnica con cui si ottengono queste variazioni è estremamente complessa: del solo vibrato si hanno non meno di ventisei varietà.”3

   La musica in Occidente è rimasta soggiogata per secoli dall’altezza come elemento primario, in seconda istanza dal ritmo; ossia dagli elementi semplificabili e riconducibili al razionalismo matematico. L’impossibilità di classificazione del timbro e della dinamica, l’incontrollabilità di queste dimensioni, le ha relegate sullo sfondo come aggettivi sovrastrutturali. Solo i sofisticati strumenti elettronici del novecento, hanno denunciato la pluridimensionalità (impossibile da annotare in partitura) di ogni suono. Ma l’interesse per il timbro, da Debussy in poi, sgretola i sistemi, riconduce al suono e alla sua impossibilità di essere definito, calcolato, sottomesso a strutture e sistemi. La morte dell’intervallo denunciata da Franco Donatoni4, può essere vista come una rinascita del suono, libera il suo potere infinito, ne consente l’epifania.

   Apparentemente secondario e non sufficientemente letto secondo una prospettiva ermeneutica universale, lo sviluppo delle nuove tecniche per gli strumenti a fiato, si innesta in realtà perfettamente in una diversa concezione etica del suono. Il compositore Bruno Bartolozzi nel preziosissimo lavoro del 1967 Nuovi suoni per i legni, mette in rilievo un passo di Schönberg alla fine del suo Harmonielehre, che si ricollega all’intuizione geniale della klangfarbenmelodie (melodia di timbri): “Non sono portato ad ammettere senz’altro la differenza di timbro e altezza del suono di cui normalmente si parla, ma penso che il suono si manifesta per mezzo del timbro e che l’altezza è una dimensione del timbro stesso. Il timbro è dunque il tutto, l’altezza una parte di questo tutto, o meglio, l’altezza non è che il timbro misurato in una sola direzione...”5. Bartolozzi coniuga, dunque, questo passo profetico di Schönberg alle ultime sperimentazioni tecniche e al nuovo (ma forse antichissimo6) universo sonoro che esse annunciano. È evidente come tali tecniche integrate a quelle tradizionali, possano operare strutturalmente e non come effetti speciali, in una prospettiva, per così dire, scelsiana della musica. Non è il luogo questo, per dilungarsi sul significato di ognuna di queste tecniche, cito solo il caso dei bicordi e dei multifonici7, che sembrano operare una radiografia del suono, esplorarne e rivelarne l’interno.

   E sempre un approfondimento dell’intuizione di Schönberg si ha, per esempio, nella ricerca dei musicisti dell’Itineraire; dice in proposito Angelo Orcalli: “non sussiste alcuna ragione, se non culturale sostengono, perché si debba distinguere il timbro dall’armonia; tra i due esiste in realtà un continuum come, analogamente, c’è continuità tra ritmo e intensità, ritmo e frequenza”8

   Lo stesso spirito anima l’uso delle percussioni; l’aspetto ritmico che tradizionalmente le denota, assume un aspetto secondario e prevale invece quello timbrico, grande enfasi è data alla risonanza e alla sparizione del suono, unita di contro, all’interesse e al rispetto per i suoni poveri di armonici, per il brusio, il ronzio, il brontolio ecc. Assieme alle percussioni tradizionali, vengono usate, a volte, percussioni autocostruite e oggetti della vita quotidiana estrapolati dal loro contesto e ritrovati come fonti sonore.

   Accanto al suono, anzi, come sostrato di esso, il silenzio, suoni impercettibili e pianissimo collaborano ad esaltare il ruolo attivo ed energetico di quest’ultimo. I suoni sono predicati del silenzio.

 

 

 

       L’IMPROVVISAZIONE

   Preferisco offrire sull’argomento, una serie di citazioni, che offrono di per sé, ricchissima fonte di meditazione.

   Evan Parker: “…se la partitura rappresenta una sorta di esecuzione ideale, perché mai dovrebbe essere eseguita? Sarebbe certamente meglio, per l’amatore di musica, leggersi la partitura, da solo, in compagnia, guidato o non guidato, a seconda di come gli suggeriscono i suoi gusti. Se si obbietta che un tale atteggiamento è troppo povero di emozioni, posso replicare che anche la partitura in sè è troppo povera di emozioni; e, considerato che si occupa di descrizioni più che di emozioni, sarebbe più appropiato considerare la produzione di partiture come una branca esoterica delle arti letterarie, con regole sue proprie, piuttosto che qualcosa che ha a che fare con la musica.”9

   Franco Evangelisti: “Questa sarebbe l’unica magia ancora possibile alla musica d’oggi: la possibilità di essere non più scritta e quindi del tutto priva di miti verso quel personaggio chiamato autore.”10

   Annamaria Morini: “Scelsi ha in più occasioni fatto riferimento alla difficoltà di annotare il suono nella sua complessità. E in effetti la rappresentazione grafica del suono ha sempre creato problemi insolubili fino all’affermarsi dei mezzi elettronici di analisi acustica. La complessità, o sfericità, o spazialità del suono sono concetti che la fisica ha legittimato come reali e non traslati (vedi la vexata quaestio del suono chiamato scuro, aperto, chiuso, e via discorrendo), ma la notazione tradizionale nulla può in merito.”11

   Leo Smith: “Benché un improvvisatore possa crearsi certi tipi di simboli e annotare certe forme con le quali fissare la musica creativa, questo processo non deve essere confuso con la composizione, perché tutti gli elementi dell’improvvisazione che vengono annotati non sono altro che semplici formule di cui si servono gli improvvisatori creativi. Il metodo e i simboli adoperati dall’improvvisatore nel fissare un’improvvisazione non sono mai stati standardizzati (né devono mai esserlo).”12

   Ancora di Leo Smith, una definizione di improvvisazione raccolta da Derek Bailey: “L’abilità di organizzare istantaneamente suono, silenzio e ritmo utilizzando tutta intera la propria intelligenza creativa.”13

   Vorrei far notare come la crisi della notazione, la concentrazione sul suono come cosmo infinito e indefinibile, e l’improvvisazione, siano quasi conseguenze l’una dell’altra.

 

 

 

       IL DUO ACUSTICO

   Osserva Gabriele Mirabassi: “Oggi il musicista è in grado di usare una quantità di materiale enorme, organizzandolo mediante modelli così complessi da portarlo sempre più spesso a rischiare di perdere il rapporto col suono ‘vero’, quello prodotto da uno strumento in una stanza.”14

   La povertà di mezzi e di effetti del duo acustico è una scelta ascetica e, direi, nella prospettiva sopra indicata di ricerca sul suono, pedagogica: noi per primi quando suoniamo, apprendiamo l’ascolto.

   Ad una società che ha disimparato l’ascolto (usare la musica come sottofondo, per fare un solo esempio tra moltissimi, uccide non solo la percezione del suono, ma, prima ancora, quella del silenzio da cui quello deriva15), bisogna opporre una strada inversa, che riconduca a privilegiare la sensibilità dei nostri sensi, la loro capacità di distinguere, oggi, che così spesso, si abusa del loro grado massimo di sopportazione. Il suono nudo, la sua attesa nello spazio fisico, senza il filtro dell’elettronica -che allontana e crea una mediazione- neppure in sede di semplice amplificazione.

   Concludo con un’ultima osservazione sulla musica indiana di Franco Evangelisti: “…poiché l’informazione monodica è più semplice e gli indiani non usano grandi masse strumentali ma piccoli gruppi d’insieme o abili solisti, essi non hanno raddoppiato le sorgenti come da noi: l’informazione, essendo rimasta entro limiti discreti, meno ridondanti, è giunta a procedimenti più sottili, sia trovando e usando microintervalli sia impiegando, secondo una distribuzione più accurata, le durate: si sono così aperte nuove possibilità alle facoltà auditive. Una tale informazione ha potuto sviluppare una maggiore sensibilità nel campo delle altezze e della modulazione grazie anche alla concentrazione rituale che, avvalendosi di mnemotecniche, è stata applicata -caso davvero raro- alla distribuzione dell’energia acustica.”16

 

 

Sergio Fedele  (1995)

 

 

Duo Klang    Sergio Fedele   Clarinetti, flauti, percussioni

                       Roberto Dani    Batteria, percussioni



1 P. A. Castanet - N. Cisternino, Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono, Lunaeditore, La Spezia 1993, p.12, nota 6.

2 Giulio Castagnoli, Suono e processo nei Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola) (1956) di Giacinto Scelsi in “Quaderni di Musica Nuova”, a cura di Giulio Castagnoli; N°1, 1987. Compositori Associati - Torino; p.88.

3 Curt Sachs, La musica nel mondo antico, oriente e occidente, Sansoni, Firenze 1981; p.102. (Tit. originale: The Rise of Music in the Ancient World East and West, New York 1943.)

4 Cfr. Armando Gentilucci, Oltre l’avanguardia un invito al molteplice, Ricordi-Unicopli, Milano, 1991, pp.41 e 74. (Prima ed. Discanto edizioni, 1980).

5 Bruno Bartolozzi, Nuovi suoni per i “legni”, Suvini Zerboni, Milano, 1974, p.50, il corsivo è mio. (Prima ed. New sounds for woodwind, Londra, 1967). Il passo di Schönberg è a pag.528 dell’ed. italiana: Manuale di armonia, Il Saggiatore, Milano, 5a ed. 1991.

6 Penso alla pratica esecutiva di strumenti quali lo Shakuhachi giapponese, o del meno noto fue (flauto questo traverso e non diritto come il precedente), usato nel teatro nõ, il cui suono è costantemente turbato dagli armonici superiori; per non parlare del digeridu australiano.

7 Jesus Villa Rojo, ha inoltre mostrato per il clarinetto, come questi suoni possano essere eseguiti su tutta l’estensione dello strumento e con le diteggiature tradizionali; cfr. El clarinete y sus possibilidades, estudio de nuevos procedimientos. Editorial Alpuerto, Madrid, 1974. Tale lavoro si può con profitto coniugare a quello di Bartolozzi e Garbarino (Metodo per clarinetto, Suvini Zerboni, Milano, 1978) piuttosto che rappresentarne un’alternativa.

8 Angelo Orcalli, Fenomenologia della musica sperimentale Sonus Edizioni Musicali, Potenza, 1993, p.197.

9 In Derek Bailey, L’improvvisazione, sua natura e pratica in musica, Arcana, Milano, 1982, pp.155-6, (ed. originale Ashbourne, Derbishire, 1980.

10 Franco Evangelisti, Dal silenzio a un nuovo mondo sonoro, Semar, 1991, p.74 (pubblicato per la prima volta in tedesco nella rivista Musik- Konzepte, nel 1985).

11 In P. A. Castanet - N. Cisternino op. cit. p.236.

12 Leo Smith, Note sulla natura della musica, Nistri-Lischi, Pisa, 1981, p.34 (parzialmente già pubblicato in USA con il titolo Creative Music).

13 In Derek Bailey, op. cit. p.228. 

14 Gabriele Mirabassi, Sull’improvvisazione presentazione di Focus Pocus, musica da camera improvvisata, Quaderni Perugini di Musica contemporanea, Spina, 1991, p.3.

15 I luoghi vengono a perdere, così, la loro particolare individualità acustica e sonora e tutto viene omologato, lo stesso accade quando si agisce sulle registrazioni (pratica diffusissima in qualsiasi ambito, dalla musica leggera a quella classica), normalizzando intonazione, dinamica ecc. Nell’apparenza scenografica della varietà, la nostra società occidentale è ideologicamente e culturalmente appiattita in un pensiero unico, viviamo nello sterminio delle diversità biologiche e culturali e nel culto della merce a cui tutto si sacrifica.

16 Franco Evangelisti, op. cit., p.118.

 

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